Dall'Abbazia di Frassinoro all'Ospizio di San Pellegrino in Alpe
Da Frassinoro si imbocca la via Bibulca in una suggestiva escursione di circa 5 ore che attraversa un incontaminato paesaggio appenninico. Si passa il borgo di Pietravolta documentato a partire del 1222 come località attraversata dalla Via Bibulca. Si procede per i Prati di San Geminiano che formano un'area pianeggiante a ridosso del crinale appennino e frequentata già in epoca antichissima come testimoniano reperti risalenti al Neolitico. Nell'XI secolo qui sorgeva un ospizio per i viandanti, che percorrevano la Via Bibulca, fatto costruire dalla Contessa Matilde presumibilmente dopo la fondazione dell'abbazia di Frassinoro nel 1071. Dell'antico ospitale non rimane nulla, ma si ammira invece il piccolo oratorio di origine seicentesca ricostruito nel '900 dopo un forte terremoto.
Allo stesso periodo risale anche l'ospizio di S. Pellegrino in Alpe sul versante toscano del crinale appenninico e documentato dal 1110, benchè la tradizione lo voglia fondato nel VII secolo dallo stesso San Pellegrino. La sua erezione, per l'assistenza a viandanti e pellegrini nel tratto di valico, il più impervio e disagevole dell'importante via di comunicazione, dovette seguire di poco la fondazione dell'abbazia di Frassinoro. La presenza delle reliquie del Santo, nella chiesa annessa all’ospizio, è attestata, per la prima volta, in un Breve pontificio del 1255, mentre la prima menzione dei resti di S. Bianco è posteriore di trecento anni, ed è contenuta nel resoconto di una visita pastorale fatta dal vescovo di Lucca nel 1559. La progressiva affermazione del culto di quelle reliquie, che contribuì ad incrementare con generose donazioni dei fedeli il già consistente patrimonio terriero e immobiliare posseduto, consentì all’ospizio di sopravvivere alla generale decadenza dell'organizzazione assistenziale che si ebbe nel Trecento e che travolse altre istituzioni analoghe, attive a quel tempo sul culmine dell'Appennino modenese e reggiano.
La comunità ospitaliera si ridusse, però, a pochissimi conversi e gli edifici subirono gravi danni. Chiesa ed ospizio furono riedificati a metà del Quattrocento dal rettore Leonello de' Nobili da Castiglione di Garfagnana, già abate di Frassinoro. Il rifacimento della chiesa, che ospita tutt'ora i corpi dei Santi, dovette essere quasi totale, come indicherebbe la circostanza che sono pochissime le parti dell'edificio originario riconoscibili in quello attuale, risalente al Quattrocento. Attualmente l'ospizio di San Pellegrino ospita il Museo Etnografico “Don Luigi Pellegrini”. La creazione del museo si deve al paziente ed infaticabile lavoro di don Pellegrini che voleva, attraverso questo impegnativo progetto, rendere testimonianza dell'importante tradizione della civiltà rurale dell'Appennino tosco-emiliano. L'ingresso del museo etnografico si colloca sotto lo stesso voltone che vede anche l'ingresso del santuario.
Una curiosità riguarda il contendere secolare del territorio di San Pellegrino tra il ducato di Modena e la repubblica di Lucca a cui mai si trovò una vera soluzione. Infatti persiste ancora un'isola modenese in territorio lucchese, che include metà della piazza del paese e la metà sinistra del santuario e del corpo stesso dei Santi che si trovano con la testa in Emilia e i piedi in Toscana. Poco distante dall’ospizio si trova la località detta “il Giro del Diavolo” in cui, secondo la tradizione, il diavolo infuriato prese a ceffoni S. Pellegrino, per la sua resistenza alle tentazioni, facendolo ruotare tre volte su se stesso. La valletta sottostante accoglie cumuli di pietre formatisi in seguito alla secolare consuetudine dei viandanti di caricarsi di sassi per penitenza o per voto.